martedì 8 settembre 2015

"I TERRITORI SI INCONTRANO IN NOME DELL'ARTE" GEMELLAGGIO SAN TERENZO - FILATTIERA. SALA CARGIA' 5 SETTEMBRE - Contributo di Luigi Leonardi

Sala Culturale CarGià - Promozione Artistica 2015
Sezione - Gemellaggio Artistico

Tempo  e  solitudine
( sulla poetica di Paolo Bertolani )
Dalla raccolta: LIBI

Opera di Ezia Di Capua
Dedicata al Gemellaggio Artistico 2015
Leggendo  “ Libi “ ( Libri ) colgo un P. Bertolani ad alto livello poetico. E’ la sua una poetica decadente, forte da sferzare ogni residuo di vanità umana. Decadente nell’accezione più consona del decadentismo italiano e europeo, vale a dire la caduta dei valori tradizionali e la contrapposizione al positivismo.
Si tratta così di rivalutare quei semplici valori umani, - legati quindi all’esistenza e alla condizione umana – lontani dagli slanci idealistici di un romanticismo in vena di effimere esaltazioni. Già dalla seconda poesia di questa raccolta, “ Fatésse “ (Forme) si delinea una versione nichilista del mondo, delle cose che sono “per – la – morte”, per la scomparsa e anche repentinamente: “ E’ roba di secondi fare il conto..” Ciò è rimarcato nella successiva, “ Sito “ (Campo) dove si delinea un naufragare metaforico: “ .. barchetta sperduta fra poco/ dentro un mare d’ombra. “
Un P.Bertolani decadente-esistenzialista che entra a merito nella poesia del ‘900, insieme a De André, Ungaretti e l’ultimo Pavese, affronta in questa raccolta due temi essenziali: il Tempo e la Solitudine. Questa la sua poetica che ci evidenzia la sua visione della condizione umana. “ Passano i giorni, gli anni../.. della lucciola che di notte naviga da sola lungo un mare di grano. “ E queste immagini, della lucciola, della barchetta, sole in mezzo a un mare d’ombra, un mare di grano.. sono la “presenza” e la “scomparsa”, e il poeta insegue i suoi momenti andati, non per ricordarli ma per farli riemergere pur con la consapevolezza che sarà una sfida persa.
Il tempo implacabile, dominatore, da lasciarci atterriti e impotenti di fronte alla sua ineffabile e ineluttabile costante. Ne è un forte esempio  “ Dae fenèstre “ (Dalle finestre) con quel suo ultimo verso: “.. cane di un tempo,/ che non riesco/ a tenere alla catena. “ Ineluttabile, anche se qui il poeta non si rassegna. – una caratteristica di Bertolani -  “.. che non riesco.. “ ossia ci prova a tenerlo alla catena, lotta pur sapendosi perdente. Ed è come una rabbia anche verso le “ragazze” che osserva dalle finestre, che lo lasciano solo, si allontanano da lui per la differenza di età ( distanza ): “.. Si allontanano,/ ridono che è una marcia vergogna:/ loro è ancora tutto il tempo.. Il suo che gli resta è “.. una vena vicino a un rasoio. “ Anche se Bertolani si esprime in prima persona, questo verso ha valore storico, vale a dire universale, riguarda l’intera umanità. Tutti siamo legati all’imprevedibile: basta un niente e il rasoio può lacerare la vena. E’ un altro aspetto decadente che mi rievoca il Pascoli della “Vertigine”, dove il poeta si aggrappa a uno stelo, a un filo d’erba per non cadere in cielo.
E’ una solitudine, quella di Paolo, di esistenziale individualità, comunque venga trasferita su livello cosmico. Tutto si perde anche nella moltitudine, e ti accorgi del tuo esistere staccato dal resto. Sei solo con la tua solitudine e la tua paura di esser solo. “ Ormai ci siamo,/ con i nostri malanni, e poi ci danno degli occhiali rosa, e passa tutto../.. E’ proprio ora che tutto potrebbe capitare.. Affacciarsi alla porta il lupo: quello vero,/ a denti digrignati, non quello delle favole.”
Questa poesia dal titolo “ Pèrguo (foeta) “  ( Pergolato, favoletta ) ci dà l’idea di ciò che la realtà è in atto. Gli occhiali rosa per proteggerci dalle avversità non bastano più; l’illusione di un mondo sicuro e felice s’è infranta come “all’apparir del vero” leopardiano. A ricordarcelo c’è il “lupo”, la realtà cruda che ci artiglia senza remissione.
Giovanni Tesio nella sua postfazione fa un parallelo con H. Von Kleist, a mio avviso un po’ forzato; giusta la suggestione di Machado per la sua “soledades”. Ma è in un passaggio sintetico che cattura l’essenza della poetica di Bertolani: “ Tutta la poesia di Bertolani è un tentativo di esprimere il segreto palese del mondo, di cogliere i frammenti sparsi della sparizione.. nell’interrogativo che denuncia la scomparsa e l’annuncio dell’esserci. Ed è proprio qui, in questo transito di vita-morte, di presenza e di distanza, che la scrittura di Bertolani conquista la sua necessità di lingua romita e marginale.”
Quella “sparizione” è il divenire, ossia il tempo, ossia il mutamento. Bertolani cerca di racchiudere non i ricordi, ma la consistenza effettiva di quei momenti che sono naufragati nella “sparizione”. Anche l’uso del dialetto vorrebbe bloccare quel mondo, inchiodarlo come a una croce. Per conto mio è una scelta limitativa, - quella del dialetto – che confina i caratteri universali della poesia dentro un recinto territoriale. La traduzione, come per tutti gli altri poeti stranieri, è quindi indispensabile.
Tesio usa poi un termine inequivocabile: l’esserci. E’ l’ente, ovvero l’uomo qui, in un certo luogo; è il “ da-sein “ heideggeriano, l’esistenza in un divenire verso la morte. E la “distanza”, o “estraneità” altro non è che la solitudine dell’esistenza individuale. Ecco Machado nella poesia a lui dedicata: “ Il mio Machado che gli dico ciao,/ che non mi toglie mai il saluto/ prima di addormentarmi in un mare/ di vuoti e di pieni, ma dove i vuoti/ la fanno da padroni.. Sono quei “vuoti” che Bertolani vorrebbe riempire, ed è cosciente che quei vuoti sono “riempiti” dalla sua solitudine. E “ .. sarà come vedere nello specchio riemergere un viso morto/ come ascoltare un labbro chiuso.. scenderemo nel gorgo muti.” scrive Pavese. Muti, in silenzio ce ne andremo annientati lentamente. Soli con la flebile voce della poesia: “ La poesia è un soffio/ di voce nel frastuono,/ un andarsene via. “
Nella poesia “ Come una favola “, è più evidente quell’aspetto decadente riferito, in questo caso, all’abbandono di un valore tradizionale quale la fede. “.. mollate cristi e madonne e curatevi quei piedi.” E’ più importante avere cura del proprio corpo qui sulla terra, che vagheggiare un improbabile premio nell’oltretomba guadagnato attraverso la sofferenza. Ed è altresì più importante una solidarietà umana che non viene giù dall’alto per mezzo della provvidenza, ma nasce dal puro istinto di aiuto di chi conosce gli affanni e li affronta con le sue sole forze.

                                                                                                      Luigi  Leonardi
 Fosdinovo, 30 agosto 2015



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