sabato 2 novembre 2013

UN RICORDO DEL PIAVE: Racconto di Franco Ortis

  
" Un ricordo del Piave", racconto  scritto da  Franco Ortis descrive un’esperienza realmente vissuta all’ospedale di La Spezia nell’ottobre del 1984.
Il racconto è stato letto all’epoca, dal prof F. Ortis ai suoi alunni del Liceo Scientifico Pacinotti di La Spezia che commossi  hanno dedicato alla lettura  disegni molto belli, quello pubblicato è stato scelto tra i più significativi.  
Il racconto non è stato mai pubblicato .
Sono lieta di renderlo pubblico nel Blog di Sala CarGià proprio a novembre, mese dedicato a tutte le persone che non sono più con noi.
Ezia Di Capua 

Un ricordo del Piave

Entrammo quasi in punta di piedi, quella sera , io e mia moglie , nel reparto ortopedico dell’Ospedale.
Grafica dedicata al racconto - 1984
Erano le 21 passate da poco.
Una sottilissima pioggerella, ma forse una leggera nebbiolina, non riusciva a infastidire il nostro procedere e poi rinfrescava l’aria: si stava bene.
Era un sera molto quieta, la luna era nascosta dietro le nubi e solo ogni tanto faceva capolino senza per’altro riuscire a illuminare la città avvolta nel silenzio.
Su per i viali dell’Ospedale, sale i ticchettio dei nostri passi registrava il suo rumore. Le luci che qua e là trapelavano dalle finestre dei padiglioni creava ombre spettrali rese ancor più vive dallo stormire delle fronde alitate dalla leggera brezza notturna.
Un odore di stantie solleticò le mie nari, un infermiere ci salutò gentilmente sparendo dietro una porta sulla quale si leggeva ‘’ Privato ‘’ .
La stanza dove giaceva mio suocero, degente per frattura femorale, era appena rischiarata da un fioca luce.
Il respiro affannoso di un malato mi rabbrividì, pareva aleggiare tra le pareti il commento misterioso della morte.
Salutai tutti con un rapido giro del capo.
Il rantolo che avevo sentito era del signore vicino al letto di mio suocero.
Un infermiere era intento a dargli l’ossigeno, vicino a lui la figlia piangeva mentre il marito si prodigava per portare un po’ di conforto al vecchio suocero ammalato.
TINA ! sentii urlare ad un tratto da una voce stentorea alle mie spalle. Mi volta.
Uno degli ammalati sembrava essere andato fuori di senno.
Mi avvicinai al suo capezzale e l’ammalate, un vecchio cui si era rotto il femore, fu lieto di vedermi.
Gli presi subito la mano.
Povero vecchio; tutto solo nel suo intimo, in quella desolante stanza di ospedale, chiamava a perdifiato la sua Tina che da anni, a quanto avevo saputo da partenti di altri ammalati , non lo sentiva più: era morta di mal sottile.
Stia calmo, gli dissi, non si agiti, vedrà che domani starà meglio.
Cercai di farlo sorridere con una battuta e continuai:
‘’ il sole entrerà nella stanza e lei si sentirà un altro, un baldo cavaliere sul suo bianco destriero alla ricerca della sua Tina che ora non può venire da lei ’’.
Tina, mormoravano le sue secche labbra che inumidii con un po’ d’acqua.
Lui mi guarda con occhi buoni mi strinse la mano che io avevo fra le mie e sentii tra le gote un bruciore caldo di una lacrima.
Si lasciò andare ai ricordi… 
‘’ Lei è buono, sa: mi tiene la mano e io veramente mi sento sollevato nel cuore ‘’.
Ansimava un po’ nel parlare ma era lieto di poter dire qualche parola.
‘’ è mai stato sul Piave? ‘’
No, gli risposi, so che deve essere tremendamente bello ’
‘’ è bello, certo come tutta la natura è bella; il mio ricordo va’ lontano, nel tempo, ai miei 20 anni ‘’.
‘’ L’annoio forse, me lo dica; non parlo mai con nessuno e vorrei tanto qui la mia Tina ‘’ .
‘’ L’ascolto volentieri, mi dica tutto ciò che vuole, ma cerchi di non affaticarsi ‘’.
‘’ Avevo 20 anni ed ero al servizio della patria che ci aveva chiamati in armi ‘’.
Mi  sembrò di vederlo, alto bello e fiero in quella sua divisa di fante in quelle eroiche giornate della grande guerra.
‘’ Fu una giornata campale ‘’ , continuò, ‘’ lei non può nemmeno immaginarsela ‘’
Il cielo era rosso color sangue, il cannone tuonava in continuazione, e tutto intorno era il nostro sangue immolato per la nostra bella Italia.
Parlava bene e io in silenzio lo ascoltavo, avvinto da quel suo semplice racconto, colmo di future speranze, vive nella sua memoria.
‘’ Un fumo nero giungeva da più parti mentre le pallottole dei ta-pum, fischiavano la loro canzone mortale.
Le ombre dei nostri corpi di vivi e dei loro di morti, erano forme, accucciate fra le erbe della riva e si allungavano sulle acque del fiume che implacabile scorreva verso valle rumoreggiando fra le pietre con la sua voce ribelle.
A me intorno era il silenzio di morte rotto dal rantolo dei feriti e dalle preghiere del cappellano.
Ad un tratto sentii una mano che cercava la mia e io l’afferrai.
Non mi ero accorto di quel soldato ferito che era ferito vicino a me e ora lui cercava il mio aiuto, il sollievo di un contatto umano.
Strinsi quella mano ormai esangue che anelava alle mie e infusi silente coraggio in quel ragazzo della mia stessa età proprio come ora lei fa’ con me.’’
Si voltò dall’altra parte tentò di urlare ancora una volta il nome di sua moglie Tina, ma la sua voce sembrava rantolare.
Nessuno , nella stanza fece caso a lui.
‘’ Come si chiama, mi chiese ’’. Franco risposi.
‘’ Franco, soffro tanto e non ce la faccio più , sono stanco mio giovane amico ‘’.
Cercai di confortarlo e risento la mia voce, suadente, non so’ fino a che punto che gli diceva come domani sarebbe stata veramente una giornata stupenda, e come la sua Tina sarebbe venuta a trovarlo e a farlo contento.
Nel dirgli queste, ricordo di aver cercato una luce fuori dalla finestra, nel buio di quella triste serata d’autunno e di aver abbandonato per un attimo il suo bel viso.
Non mi rispose e quando nuovamente lo guardai, vidi che mi fissava intensamente con gli occhi sbarrati e incantati come quelli di un bambino felice.
Povero vecchio, un tempo soldatino del Piave e capii.
Abbandonai la sua mano che nascosi sotto il lenzuolo con il quale lentamente gli coprii il viso.
Nessuno si era accorto di nulla.
Avvisai l’infermiera, mi avvicinai alla finestra e guardai oltre i vetri.
La luna era tornata a sorridere all’innamorati in tutto il suo splendore sapevo che due anime belle giocavano ora con lei lungo li stellati sentieri dell’infinito.


Franco Ortis



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