martedì 24 settembre 2013

"SALVACONDOTTO PER MONSALVATO" Incontro con la poesia di Thea Maria Parodi Roncon: a cura di Donatella Zanello

SALA CARGIA' - PROMOZIONE ARTE E CULTURA 2013 - SEZIONE POESIA

 “SALVACONDOTTO PER MONSALVATO”
 Incontro con la poesia di Thea Maria Parodi Roncon
 a cura di  Donatella Zanello

“Sorgeva dunque a quei tempi / su un picco eccelso dei Pirenei,
  detto il Monsalvato,una rocca immensa, diritta e liscia.
  Aveva torri e bastioni possenti / che l’attorniavano
  da ogni lato… cupa e minacciosa all’esterno, era invece
  all’interno amenissima e piena di pace”.
                                                   (“I cavalieri del Santo Graal”)

               “Salvacondotto per Monsalvato” di Thea Maria Parodi Roncon  è un vero e proprio gioiello letterario di rara fattura. E’ la primasilloge di questa interessante autrice, dotata di una straordinaria ricchezza lessicale e di inesauribile capacità descrittiva e dialettica. La scrittura di Thea è vigorosa, scorre fluida come un torrente in piena, densa di riferimenti filosofici e letterari, sia in poesia che in narrativa, con abbondanza  di argomenti  quali la psicologia, la filosofia, la memoria, la mitologia, il tempo, la descrizione naturalistica. La sua parola poetica è come una lama brillante che scinde la realtà e la analizza secondo criteri di assoluta libertà e ricerca della verità. Grandi temi, versificazione breve e scabra in questo testo, in altri suoi scritti ricca di aggettivi.
Il “Salvacondotto” di Thea rivela un forte intento libertario.
E’ infatti l’affermazione  della propria libertà spirituale, del proprio modo di cercare la salvezza nella realtà e dalla realtà, attraverso un percorso interiore di autocoscienza.
Monsalvato è la mèta del viaggio, indicata nello splendido “incipit” come antica fortezza leggendaria, “cupa e minacciosa all’esterno, invece all’interno amenissima e piena di pace”. L’elemento fortemente simbolico indica un percorso psicologico . Guardarsi dentro per trovarsi,  in una solitudine vissuta come scelta nobile, solitudine  positiva, priva di  conflitti e quindi foriera di pace, raggiungibile attraverso la meditazione e volta ad annullare il dolore. Il “salvacondotto” è appunto la possibilità di redimersi, di salvarsi  attraverso l’istinto di autoconservazione e non solo, protraendo la vita oltre la vita attraverso la  parola poetica. In questo senso la poesia è salvacondotto per antonomasia poiché non è rivolta al particolare ma all’universale.
La parola scritta è un mezzo talmente potente da attraversare  i millenni:  “Scripta manent”.
Anche la genesi di questo libro porta il segno dell’eccezionalità  e della catarsi: infatti Thea dichiara che “è stato scritto in una notte, vegliando in attesa di una morte annunciata”. Da questa notte tragica e fatale “prende forma e contenuti questa ballata, ispirata a un viaggio conoscitivo ed epuratore del pellegrino – uomo nel mondo – vita”.
La ricerca spirituale  conduce al Monsalvato, luogo di perfezione cui si giunge attraverso la presa di coscienza dei propri errori. Suggestivo è  il riferimento alla leggenda di Parsifal e del Santo Graal custodito a Monsalvato. I Cavalieri che custodivano la coppa nella quale Gesù bevve il vino dell’ultima cena dovevano essere puri e coraggiosi, rinunciare al mondo e vincere le tentazioni.
Il percorso spirituale è suddiviso in quattro parti:
I PARTE: dall’infanzia all’adolescenza;
II PARTE: dall’adolescenza alla giovinezza;
III PARTE: dalla giovinezza alla maturità;
IV PARTE: verso l’età della ragione.

Nella Prima Parte la poesia n. 3 indica nell’albero senza radici, il tronco, dimora di creature messaggere di morte, il simbolo di un’infanzia tradita ed abbandonata a se stessa, segnata dall’assenza dei genitori che avrebbero dovuto costituirne la radice ed il nutrimento. E’ un’ infanzia innocente e tenera che già comprende l’inutilità del nozionismo scolastico, della conoscenza fine a se stessa.
Ugualmente nella poesia n. 5 ritorna l’amara constatazione di una sofferta solitudine infantile:
Feci per quelle  foglie
ciò che nessuno fece a me bambina:
 indicai la strada, regolai la sorte.
N. 9:
Ma davvero pensi che la mia vita cambierà,
  quando avrò imparato il teorema di Euclide?
  O saprò solo ciò che non mi servirà
  a capire l’Amore, a vivere una vita
  senza disavanzi, a comportarmi con pietà?”
N. 10:
Percorsi il viale infanzia intimidita e triste;
 la mia mano, tenera noce esposta
 senza il guscio di un’altra mano,
 pendeva inerte sul grembiulino di cotone rosa.”
Nella II Parte, l’autrice affronta i grandi temi dell’amicizia e della pietà.
Lirica altissima la n. 16.
L’amicizia fu il mio fiore all’occhiello,
 il sentimento di cui andavo fiera.
Senza pensare al freddo dell’inverno
…ma solo al dono di se stessi ….
pescai nel sacco delle mie monete
…finchè giunsi al fondo.
Tutto dunque era stato sperperato invano?
Avrai pur trenta lire – disse allora qualcuno.
 – Ti potrebbero servire –
 E capii la lezione.”

 L’autrice descrive l’adolescenza come passaggio, malattia e convalescenza, dolorosa trasformazione il cui male è “l’assenza di diritti e ragioni”. Età difficile e controversa nella quale si riceve a piccole dosi come in una necessaria profilassi la percezione del male della vita, preparazione inevitabile che solo alcuni riescono ad attraversare  indenni ed anzi rafforzati.
Nella parte III – “Dalla giovinezza verso la maturità”l’autrice continua il percorso a ritroso nel proprio vissuto e narra lo studio delle lingue interrogandosi filosoficamente sulla tragedia dell’incomunicabilità che si oppone alla cultura ed al progresso e ribadisce la propria scelta orgogliosa di isolamento ed autodifesa, di riflessiva solitudine, l’incertezza di una preparazione eclettica in labirinti oscuri di libri senza guida e senza un ordine ben preciso. Soluzione per sopravvivere alla realtà matrigna è l’indossare una maschera, creare un “alter ego” che ci somiglia, incassando i colpi della malasorte nel cuore di pezza.

Nella poesia n. 28 anche l’Amore viene respinto, accantonato, rifiutato a causa dell’atavico terrore dell’incertezza che ne potrebbe seguire:

“Un giorno s’affacciò l’Amore
col tenero giustacuore
color confetto.
Timido e circospetto
scoccò una sola freccia
che andò dritta al segno.
A quel punto il panico mi prese.
Che fare?
Fuggire – Restare – Affrontare –
Retrocedere – Concedere
O Rinunciare?
Non reggendo alla lotta,
ho barato col tempo,
ho accelerato la fine:
ho scelto la solitudine
piuttosto dell’incertezza.

Nel percorso dell’autrice il viaggio è un tema ricorrente. Il viaggio più importante è quello che si compie nella memoria, che ci conduce “nelle terre oscure del cuore”, oltre l’orizzonte sensoriale. La vita è anche compromesso e durante il cammino ci accade di incontrare gli opportunisti, i gradassi, gli strafottenti presuntuosi, gli ipocriti e di avere a che fare con loro per necessità legate alla nostra sopravvivenza, così diventiamo come loro e ci comportiamo allo stesso modo (n. 30). Infine si diviene preda della “triste brigata” dei dubbi esistenziali. La purezza della coscienza si sfalda e l’anima – o la mente – attraversa uno stadio successivo di maturazione, per raggiungere una nuova amara consapevolezza della pochezza umana, laddove l’entusiasmo e l’innocenza della giovinezza si spengono e divengono cenere di ricordi consumati al fuoco dell’esperienza.
Prosegue e si conclude il viaggio nella IV parte , “Verso l’età della ragione”. Proprio la ragione è la fine del viaggio, poiché è nella ragione che sta la salvezza dell’uomo. Ragione che è null’altro che triste consapevolezza, socratica sentenza e tuttavia concetto dignitoso dell’esistenza come valore assoluto. Tuttavia l’autrice riconosce nella sua esistenza una “bozza mai pronta per la stampa” e va disfacendo il suo tempo nella ricerca incessante di una via di fuga da una realtà percepita come perennemente insoddisfacente, nel tentativo di “truffare la sorte” (n. 33): “Ho avuto dunque più vite? Certo. Quante sono le pagine scritte, le poesie cantate, gli eroi di queste pantomime.” Nichilismo, perdizione dunque  e smarrimento ma smarrimento consapevole, come in Cesare Pavese, come in tanta poesia del Novecento. Questo è il pessimismo della ragione, pessimismo gnoseologico e deontologico, di cui sono intrise queste pagine, una vaso di Pandora al cui fondo giace la Speranza, “Spes ultima dea” in se stessa inutile. Vivere è dunque la snervante fatica di “tenersi in  equilibrio”, quando per anni non accade nulla di nuovo ed il tempo prezioso si perde nell’assurda trappola dell’attesa di qualcosa che non giunge mai. Certi destini sono segnati in partenza, questo vuoto esistenziale è certo appannaggio dell’essere umano in quanto tale e nessuno sfugge alla permanenza nel labirinto, nessuno, neppure l’eroe Teseo con il suo filo donato dalla sventurata Arianna, la cui generosità sarà ripagata dall’essere amato con l’abbandono e la morte. La scelta di un dio irrazionale è soluzione allo smarrimento di uno spirito curioso e libero quale è quello dell’autrice. Ella segue “una lunga discesa fortunosa”. Tuttavia sa che agli errori non vi è più alcun perdono nell’età della ragione adulta e responsabile e gli occhi del mondo sono pronti a giudicare. Percorrere dunque altre strade, in analogia con il moltiplicarsi dei rami del labirinto. “Mi umilierò per sapere.”Pagherò col dolore la conoscenza”. Soltanto in questo modo si perviene alla saggezza, che ci rende migliori e migliora la nostra vita, in una stasi dimenticata che ci riconcilia con tutto l’universo. Raggiunta questa posizione privilegiata che è assicurata dall’avere acquisito conoscenza e saggezza, si può osservare dall’alto il teatrino della vita e domandarsi se si tratta di commedia o tragedia. Ebbene, “è solo farsa demenziale, una corsa inconcludente dietro alle etichette, un aizzare invidie, sfrenate gelosie, una meschina giostra delle ipocrisie.
In tutto questo meschino rimestare,” l’Amore, la Vita stessa,la gioia del dare, l’ebbrezza del volo” non trovano posto. E’ questo il medesimo sentire dei grandi Poeti Maledetti, l’emblema del simbolismo francese in poesia. In questo contesto di emarginazione intellettuale il peso della memoria e delle vite di coloro che non sono più è un macigno sulla coscienza, un tormento notturno di demoni che è necessario combattere e respingere. Poiché anche la memoria deve restare circoscritta, non può invadere lo spazio della vita avvelenandola con i suoi miasmi di rimpianto e rimorso. A questo punto, per l’autrice “Damasco è una buona mèta” (n. 42): mettersi sulla via della fede in attesa di una folgorazione, di un segno di speranza, di uno spiraglio per l’eternità. Grande è il desiderio – e conseguentemente la fretta – di giungere all’agognato traguardo, tuttavia per la durata dell’intera esistenza la folgorazione non avviene e non avverrà mai, fino alla fine. Occorre un’arma segreta per uno spirito che è sovranamente libero: siamo alla conclusione, nichilistica, orgogliosa, difficilmente condivisibile se non ad un livello più profondo, intimo, in un anelito estremo di affermazione del Sé, da non considerarsi egoistico ma esclusivamente e totalmente libertario e liberatorio:
n. 43:

L’arma segreta
  della mia sopravvivenza
  è l’indifferenza
  alle vostre opinioni.”

Per concludere, si può affermare che nel caso di Thea Maria Parodi Roncon la poesia assurge a traccia di pensiero filosofico complesso, enunciato di autocoscienza, proclamazione di libertà spirituale in difesa di valori assoluti incompresi e calpestati.
Mai come in questo caso la poesia “è belva sapiente” , strumento di conoscenza e di affrancamento dal male, reale lasciapassare per il raggiungimento della pace interiore. In questo  percorso poetico  inizio e fine coincidono mirabilmente, grazie alla  perfezione stilistica ed alla  profondità concettuale e tutta la verità di questo testo poetico è già presente nel titolo – simbolo, eccezionalmente suggestivo: “Salvacondotto per Monsalvato”.                  
                                                                                           
                                                                                       Donatella Zanello

 NOTA BIOGRAFICA  DELL'AUTRICE  THEA MARIA PARODI RONCON

Il mio percorso di poesia inizia quasi a mia insaputa, mentre leggevo in una rivista un reportage del giornalista M.Deaglio sul Nicaragua. Da poco c'era stato un terribile terremoto e la capitale Managua era un cumulo di rovine. Deaglio tra l'altro aveva fatto molte interviste agli abitanti della baraccopoli e , tra questi, aveva intervistato un'anziana signora che, seduta sulla soglia di una casupola in lamiera, aveva confessato di essere stata il grande amore del Generale Sandino. Mi riscaldò il cuore l'idea che, nonostante le pessime condizioni di vita, le ristrettezze economiche e le incertezze del futuro, questa donna coltivasse ancora dentro di sé il ricordo di un lontano amore.
Questa anziana signora di ottantatre anni, Maria Soledad, fu dunque ispiratrice della mia prima poesia, nella quale costruii la storia di un amore tradito. Alla  “Ballata per Maria Soledad” seguirono molte altre poesie, che ritraevano personaggi di cronaca e che mi valsero l’appellativo di “poeta politico”. Tuttavia dietro queste rappresentazioni si nascondeva il pudore di esporre i propri sentimenti, di offrirsi alle critiche e ai giudizi del mondo.
Poi, nell’aprile del 1989 morì mia nonna Esther: questa data segna la fine delle mie poesie politiche e l’inizio di un nuovo percorso come “poeta della memoria”. Il testo scritto nel 1989 è stato pubblicato dalla Firenze Libri con il titolo “Salvacondotto per Monsalvato”. Nel 1996 scrissi la silloge “Risalire indietro” che vinse nello stesso anno il Premio Letterario “L’autore”.
Dal 1996 al 2001 il mio contributo alla poesia divenne raro ed occasionale, fino all’ottobre 2001, quando scrissi “L’orologio e il tempo” in ricordo di mia madre. Dal 2001 al 2010 i miei interessi si volsero allo studio e riflessione sulla natura, sulla società e soprattutto sull’anima. Approfondii la ricerca delle regole del linguaggio, le sue leggi rigorose, una delle quali è il silenzio: tacere è un diritto dell’interlocutore, tuttavia se si decide di parlare è necessario adeguarsi alle regole della parola. Così sono nati testi di riflessione e poesia da me forse impropriamente definiti “Vaudeville”, con particolare riferimento ai testi recitati per le strade d’America dal poeta V. Lindsay e con i seguenti titoli: 1. “Prove di dialogo e di silenzio”
                        2. “Apologia del dubbio”
                        3. “Seguendo la coda della cometa”
                        4. “Il gioco delle identità”.
Ognuno di questi testi ha un argomento sul quale ho sviluppato le mie riflessioni: l’amore, la verità, il dubbio, il rapporto madre – figlia, il concetto di identità.
  
                                                                                                                  Thea Maria Parodi Roncon


NOTA INTRODUTTIVA ALLA SILLOGE “RISALIRE INDIETRO” di Thea  Maria Parodi Roncon 
a cura di Carmen Claps *

In “Salvacondotto per Monsalvato” l’autrice aveva scritto che l’unico viaggio che conta è quello nella memoria. E in questo libro, eccola alle prese con un viaggio nello spazio ma soprattutto nel tempo, una risalita indietro, un muoversi a ritroso. Come tutti i viaggi nel passato è certo doloroso, perché si tratta di una ricerca e di un recupero di paesaggi, cose, eventi, persone che furono e non sono più, tuttavia questo viaggio è anche estremamente dolce, perché legato ad anni felici. Qui l’oggetto non è l’asprezza di un presente senza certezze ma la tenerezza del passato. Prevale qui il paesaggio, indispensabile cornice, dove la natura è pienamente protagonista: qui l’albero non è più solo un tronco senza rami. La parola sapiente, gli aggettivi estremamente curati, scelti con la felice precisione di chi ha una quotidiana confidenza con la scrittura, ci trasportano in un mondo agreste e misterioso, ricco di oggetti, mestieri, tradizioni ormai perdute e per questo motivo ancor più affascinanti per chi è cresciuto nella caoticità meccanica della vita contemporanea.
                                                                                                               
                                                                                                                                      Carmen Claps
  
Da  “RISALIRE INDIETRO”:

SMARRIMENTO

So che vivere è anche questo smarrimento,
questo tonfo di sassi sulla superficie
piatta e uguale di un relitto di palude
dove da sempre tace il fischio
del migliarino, voce della specie estinta.
So che la vita ha un nome che varia
con l’usura degli anni, ed ora
è questa grigia lamina di nubi
capovolte, questa deserta periferia
su cui di notte s’accampa l’assordante
silenzio della tua assenza.
E’ di nuovo autunno, madre, la stagione
delle vendemmie definitive: è in questo
dignitoso paesaggio
che conviene ritrarsi.

SULLA COLLINA DELLA CAVA

Sulla collina della cava, rosa
da grotte, voragini d’ombra con cupe
voci d’acqua sotterranee, cresceva solo
un leccio dalle rame storte, orfano
di nidi, triste e maculato da una muffa
bianca, rorida di linfe misteriose.
L’aria già abbuiata odorava d’amaro,
sentori d’erbe sconosciute. Già scura
la valle sottostante, ma qui, nel cielo
dilatato, perdura ancora una scheggia
di luce, un lume fioco,
svaporato di bianco,
lucciola della sera.
Agli ululati dei cani vagabondi,
ubriachi di luna, col pelo sporco
di polvere e di crusca, rispondo
con un guaito piano, soffocato, io stessa
voce ormai della natura.
                                                                
                     Thea Maria Parodi Roncon



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