venerdì 2 novembre 2012

POESIA SPECCHIO DELLA VITA: la ricerca poetica di Paolo Bassani - Presentazione del critico d'arte Valerio P. Cremolini

Il 20 ottobre u.s., presso la Sala Consiliare del Comune di Vezzano Ligure, e il 31 ottobre scorso presso la Sala del Learning Center – Università degli Studi “Niccolò Cusano” (via Chiodo, 28, La Spezia), Valerio P.Cremolini ha presentato con un ampio intervento dal titolo “Poesia specchio della vita” la ricerca poetica di Paolo Bassani.
A Vezzano Ligure la lettura dei testi è stata amabilmente proposta, accompagnata dal commento musicale di Egildo Simeone, da Tommaso, Luca, Mattia, Alessia, Margherita, Alice, Leonardo, Alessio, Virginia e Matteo, studenti della locale Scuola Media, mentre l’incontro spezzino ha avuto in Enrico Colombo l’efficace lettore.


Valerio Cremolini
Come premessa a questo mio contributo nel quale affronto la poesia e, in particolare, la poesia di Paolo Bassani, richiamo una citazione dai “I quaderni di Malte Laurids Brigge” di Rainer Maria Rilke, poeta e scrittore di origini praghese, ritenuto tra le voci più autorevoli del Novecento. Scrive Rilke:”I versi non sono, come si crede, sentimenti (che si hanno abbastanza presto), sono esperienze”. Ebbene, la considerazione della poesia come esperienza esistenziale (quella di Rilke accompagnata da diffusa inquietudine) si offre come sussidio interpretativo anche dell’intero corpus poetico di Paolo Bassani.
Peraltro, la sua personalità si riflette, a mio avviso, nei suoi versi ispirati da varie tematiche mai affrontate superficialmente, proprio perché Bassani s’impone di dotarli di una valenza tutt’altro che effimera. L’invenzione poetica, infatti, è un atto creativo straordinario che ambisce a lasciare traccia di sé oltre la nostra esistenza.
Non esprimo nulla di nuovo, riferendomi soltanto al secolo scorso, nell’affermare l’importanza di una precisa linea poetica italiana ed in questa di una significativa area ligure, che si è giovata, grazie a celebri poeti, di continuità e di una notevole carica innovativa. Qualche nome: Salvatore Quasimodo, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale e, poi, Mario Luzi, Andrea Zanzotto, Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Testori, Alda Merini, ma anche i liguri Angelo Silvio Novaro e il fratello Mario, Ceccardo Ceccardi Roccatagliata, Camillo Sbarbaro, Angelo Barile, Giovanni Descalzo, Edoardo Firpo, Ettore Cozzani, Luigi Perasso, Giovanni Giudici, Roberto Pazzi, Franco Loi, Edoardo Sanguineti, Giuseppe Conte, Adriano Sansa, Paolo Bertolani, “profeta dell’anima/che sugge il nettare dai precordi/ dei fiori e sparge abbondanza sulla terra,/benefattore schivo in un mondo di orrore”, con gli affettuosi versi di Oreste Burroni. Infine, Renzo Fregoso, straordinario letterato e infaticabile promotore del dialetto spezzino e l’amabile Anna Maria De Ghisi, a cui alla Spezia è stata intitolata nel 2009 la Scuola primaria di Fabiano. Nel suo nome richiamo le non poche stimate poetesse della nostra provincia.
Ognuno di questi poeti citati ha conquistato una propria identità particolarmente robusta che salda il passato con il presente. Carlo Bo, illustre critico letterario di origini liguri, riteneva, a proposito, che “la loro storia è troppo nota e la loro presenza fra di noi ancora così prepotente che ci perderemmo nel labirinto delle giustificazioni e delle interpretazioni”. (Corriere della Sera, 11/03/1987)
Sono considerazioni che amo richiamare quando, come oggi, sono invitato a parlare di un poeta, capace di risvegliare  il cuore  e la mente e di muovere più o meno prolungate riflessioni, che la parola del poeta, nella sua asciuttezza, nella sua essenzialità, provoca all’attento lettore. Una filosofa contemporanea, Roberta  De Monticelli, sostando sulla poesia di Mario Luzi, ma credo, senza presunzione, che  possa valere anche per il nostro Bassani, asserisce che “la voce del vero poeta dà sempre l’impressione d’una voce perpetua che ricomincia miracolosamente a parlare in quel punto”. La parola, dunque, partorisce pensieri vecchi e nuovi, che evocano la vita e la morte, la gioia e il dolore, la fede e il dubbio, gli affetti, i colori della natura, i suoni, i rumori della quotidianità, il ricordo ed altro ancora.  
Per Paolo Bassani la poesia rappresenta una fedelissima compagna di vita, che genera un’amalgama che mai si smarrisce, perché sostenuta da vera e propria fede nella parola, espressione di verità, che si riverbera nella sequela dei versi che il poeta ci ha donato in tutti questi decenni. Versi che evocano immagini, che si liberano davanti a noi e diventano nostre e non solo del poeta che le ha suscitate. Allora, Bassani non dialoga semplicemente con se stesso. Egli desidera, al contrario, che i suoi pensieri, che come in altri suoi illustri colleghi s’inseguono senza fine, s’intreccino con i nostri e le sue suggestioni diventino le nostre. La sua poesia, allora, è la nostra poesia, una poesia vivente che, come potremo ascoltare, richiama fatti e vicende di significativo spessore umano.
La poesia, poi, vanta una peculiarità: “la poesia non mente” e proprio alcuni anni fa, presentando la silloge di un’eccellente poetessa spezzina Emilia Pellegri Sassetti, ho riportato una considerazione dell’amico Bassani, il quale mi proponeva l’attendibile argomentazione del linguista Aldo Gabrielli, che accreditava la qualità della poesia all’esistenza della chiarezza delle idee, della concisione e della semplicità, il tutto convergente nella verità, più precisamente, nella verità dell’anima, che oscura qualsiasi tentativo di finzione.
Paolo Bassani
Sulla semplicità come valore ci sarebbe da indugiare lungamente. Semplicità non significa né superficialità né genericità, ma essenzialità, naturalezza, così come il suo opposto che è la complessità, non vuole esclusivamente alludere a qualcosa di complicato, bensì di articolato, di composto da più parti. Entrambi, quindi, sono valori. Formulo un esempio, ma potrei proporne altri. Quando Bassani nella poesia Al focolare scrive:”Non mi spaventa/l’inverno/ se acceso/è il focolare” afferma con schiettezza una sensazione protettiva, ed è questo stato d’animo, fissato con un linguaggio inequivocabile, che egli intende rivelare. Come ha osservato uno stimatissimo e competente amico-poeta di Bassani, Giuseppe Sciarrone, “il linguaggio di queste liriche è assolutamente schivo di lenocini letterari, di funambolismi verbali e di vortici metaforici. Ammirevole è la semplicità sempre controllata e calibrata come quella di pochi rari poeti capaci di trasferire con immediatezza nei loro versi il canto dell’anima”.
Guardate che non è una frase fatta da utilizzare con disinvoltura, proprio perché la dimensione autobiografica della poesia, cioè il parlare di sé e fare della poesia lo specchio della vita, richiamando in modo più o meno velato il proprio vissuto, ambisce a diventare contagiosa per relazionarsi con i sentimenti e con le esperienze di altri uomini e di altre donne.
È appropriato accreditare alla scrittura poetica di Bassani una dimensione rivelativa della condizione umana ed ecco che la poesia per Giuseppe Ungaretti diventa “il fiorire dell’uomo nella parola” e per Francesco Barocelli “una confessione a cielo aperto”. Ma le definizioni di poesia si susseguono. A me piace ricordare un pensiero del poeta spezzino Oreste Burroni, mancato da non molto, autore di un esteso Cantico della Lunigiana, interamente in endecasillabi, che affianca alla poesia la percezione del mistero per come essa viene a formarsi a seguito di uno o più felici scatti ispirativi arricchiti dalla forza dei sentimenti.
Scorrendo la vasta antologia di Bassani, che comprende numerose raccolte, nonché interessanti e gustose pagine di narrativa, frutto di anni e anni di continuativo impegno letterario, emerge come i suoi versi sanciscano una partecipazione attiva ed anche contemplativa della vita, ed è appunto il binomio poesia e vita a illuminare ogni passo del suo percorso di scrittore, intransigente nel celebrare i valori della vita e distinguere il bene dal male. Sì, in Bassani traspare un esemplare spessore etico. Commovente, a proposito, è la poesia Olocausto del 1995:”Stenda la pietà il suo velo/sui morti di tutte le nazioni/sparga l’indulgenza del perdono,/annulli ogni eco d’odio e di rancore”. Così prosegue.”Nessuno però osi strappare/una sola pagina di storia./Nessuno offende la verità”.
Potremmo inserire questa poesia ed altre nel ricco compendio dedicato alla poesia civile, affrancata da schematismi ideologici, nella quale la lettura della storia ed il senso di appartenenza alla propria terra sono prevalenti, provocando il più spontaneo coinvolgimento nel messaggio del poeta. La nostra letteratura  censisce nomi di grandi poeti che con la loro riflessione poetica si sono elevati ad autorevoli testimoni del tempo, superando la pur dignitosa e legittima dimensione dell’autoreferenzialità.
Bassani attribuisce grande significato al processo di formazione della poesia, che  vorrebbe che rappresentasse nella consueta sintesi un riferimento non solo culturale, ma anche educativo, da scuotere il cuore dei lettori. Nulla, dunque, di elitario, ma con le radici profondamente innestate nel sociale, sempre più ferito da malesseri e da povertà di ogni tipo.
La scrittrice Elisabetta Rasy in un articolo dal titolo molto esplicito, Nel declino dell’italiano, il declino della società, (Avvenire, 23/11/2011) si chiede:”A cosa si riduce un uomo che non fa perno sulla parola e dunque sul pensiero e la sua capacità di responsabilità? Semplicemente a un conglomerato di appetiti. Sono quest’uomo e questa donna di grandi appetiti e di scarse e banali parole che spesso i media contemporanei ci presentano in guisa di eroi, scambiando le passioni con le più inelaborate pulsioni”.
Ebbene, la poesia apre la mente, il cuore, allarga, pur nella ripetizione, il nostro personale vocabolario e ci fa incontrare nuovi modi di usare le parole.
Preparando questo testo ho riletto l’ampia introduzione di Giacinto Spagnoletti al suo libro sulla Poesia italiana contemporanea 1909-1959, nel quale analizzando gli sviluppi della ricerca poetica di quegli anni richiama un pensiero del 1915 di Giuseppe De Robertis, collaboratore della rivista letteraria La Voce, che riporto testualmente:”I letterati sono giunti a una concezione dell’arte, purissima, che è anche scuola morale: obbligando a esprimersi nelle forme più semplici e immediate, e offrendo il modo di vedere dentro, nello spirito, con una sicurezza che non era consentita da un linguaggio incerto e impreciso, in corrispondenza di stati d’animo temporanei e approssimativi”.
Ciò non significa, ovviamente, rifiutare il complesso processo di sperimentazione linguistica che ha interessato la poesia e l’arte in generale. Personalmente mi occupo soprattutto di arti visive e so ben come la ricerca artistica, dal dopoguerra ad oggi, sia continuamente oggetto di una accelerazione nella formulazione di innumerevoli espressività, che, a loro volta, hanno  affermato la centralità più meno o duratura di altrettante soggettività, talora molto eccentriche. Così è nella poesia.
Ma credo di non essere parziale nel sostenere che i versi di Bassani non disorientano in quanto essi sono partecipi di un impianto mai tecnicistico, che si svela limpidamente nell’esternare contenuti e stati d’animo inevitabilmente contrastati. Allora, richiamando le parole di De Robertis, incertezze ed imprecisioni non hanno cittadinanza nelle poesia del nostro poeta.
Scusate se, ancora una volta, attingo ad una citazione e cioè alle illuminanti parole della poetessa Donatella Bisutti, recentissima vincitrice della 58a edizione del Premio Lerici Pea, autrice della raccolta Rosa alchemica. Scrive la poetessa milanese: “Ogni mia  poesia tende a essere un tutto concluso e il più possibile perfetto in sé, è per me il lavorarci come se si trattasse della lavorazione di un diamante: e questo è anche in opposizione con certe tendenze attuali….a lasciare la forma e il linguaggio indeterminato e aperto alle più diverse sollecitazioni come se si trattasse di fornire al lettore un materiale incompiuto o addirittura informe da elaborare per suo conto”.
Ecco, oggi, ascolteremo la lettura di alcune liriche scelte tra le non poche sillogi di Bassani e la compiutezza perseguita dalla citata poetessa, si addice alla sua scrittura, che non lascia spiragli all’ ambiguità.
Sentirete, ad esempio, come si avverte nella poesia Stagioni, il rimpianto di un tempo, in cui il sonno ristoratore è ben diverso da quello dell’età matura, condizionato dai problemi che giorno dopo giorno vanno affrontati.”Sono passati gli anni/non mi addormento più/sul tavolo della sera./Adesso s’è fatto fragile il mio sonno:/s’infrange al primo rumore/e a cerchio/erranti s’allargano i pensieri:/notturni flutti inquieti ala deriva”. 
In questi versi liberi, ma anche nelle pagine di prosa, emerge la capacità espressiva di Bassani conseguita con un linguaggio minimalista, intriso di una carica affettiva evocata dal ricordo, ancora non offuscato dal tempo. Poesia e sentimenti formano realmente un tutt’uno e danno consistenza a quella “intuizione lirica” teorizzata da Benedetto Croce, per cui il celebre filosofo prediligeva “un’arte equilibrata, senza asprezze e punte polemiche che trova soprattutto nel passato, in una certa dimensione classica, i suoi modelli esemplari”. Da qui il rifiuto di Croce “per tanta arte contemporanea percorsa da laceranti inquietudini, nient’affatto rasserenata, priva di quella fede nella ragione che egli olimpicamente sentiva”.(S.Guglielmino, Guida al Novecento, p.85)
Mi soffermo ancora qualche attimo sulla concezione dell’arte di Croce con il seguente pensiero del 1935, che richiama delle componenti che ritroviamo in molti poeti del passato e del presente. Scrive Croce:”Questo è l’incanto della poesia: l’unione del tumulto e della calma, dell’impulso passionale e della mente che lo contiene in quanto lo contempla. La vittoria è della contemplazione, ma è una vittoria che freme tutta della battaglia sostenuta e che ha sotto di sé l’avversario domato e vivente. Il genio poetico coglie e ferma questa linea sottile, in cui la commozione è serena e la serenità è commossa”. (da Ultimi saggi)
Tumulto e calma sono condizioni opposte, rivelate senza alcuna enfasi, ma con pacatezza, nella lirica Nel bianco greto della valle, in cui la presenza della poesia è sollievo per affrontare l’inesorabile avanzare degli anni. Alcuni versi:”Anch’io ora so/di questa paura,/anch’io mi sento fragile creatura/ignara del futuro e del destino/innanzi all’ombra dell’oblio/che tutto annulla”. Siamo nell’ambito dell’irrequietezza interiore, a cui fa da contrappeso questa amabile invocazione:”Ti prego, rimani tu, poesia,/a ricordare l’antico canto/nell’ora prossima al risveglio,/quando timido il cielo/accennava il profilo/dei monti più lontani”.
Si ritrova in Bassani quella che il critico Francesco Barocelli, analizzando la ricerca di Giovanna Valla, definiva “geografia del sentire e una geografia dell’esistere che morbidamente si intersecano sino a sovrapporsi”, senza con ciò far venir meno i contenuti dell’emotività e della passione che pervadono la scrittura di Bassani, quali ingredienti che gli permettono di penetrare tra i tanti anfratti della memoria e cogliere in essa temi fondamentali della sua ricerca.
Penso al paesaggio per asserire che, per come egli lo affronta, va ben oltre la banale descrizione, per trarne una riflessione, straordinariamente significativa nel rileggere attraverso scelte parole il proprio vissuto. Il paesaggio viene celebrato come il luogo che ha lasciato una traccia profonda nell’anima del poeta; è un’anima che pulsa, come in Siesta di sensazioni felici che si collegano a momenti di piacevoli riposi mentre “il sole avvampa/e le cicale spandono/il canto del loro abbandono”. Il poeta riesce davvero a rendere visibile quanto egli rievoca:”Come allora lasciatemi posare/il capo sul guanciale di sacco/all’ombra fresca della volta/e ritrovare quel profumo antico/di pane, di legna e di cantina”.
Rientrano sempre nella poesia del paesaggio Terra promessa e Alla mia patria. La prima dedicata a Vezzano Ligure e la seconda al piccolo paese di Castagni Grossi dove il poeta ha trascorso la prima infanzia. In entrambe risuonano amabili sensazioni, come se quegli attimi, le voci, i profumi, i fiori, le case e la “gente antica” si riproponessero realmente dinanzi agli occhi incantati del poeta e non come impalpabili sequenze di un tempo che gli è restituito esclusivamente nella immaginazione. Il paesaggio di Bassani, ripeto, è un approdo realistico con il quale egli ha dialogato nelle diverse età della vita: l’infanzia, l’adolescenza, la maturità, l’età adulta, fermando di ogni tappa ricordi indelebili, oggi attualizzati con ben più di un velo di nostalgia. Non a caso scrive:”La mia patria è qui/dove libertà e legge/non hanno bisogno di custodi/perché sono parte dell’uomo/della terra;/qui dove le case/non hanno cancelli/reti o muri intorno/ma l’uscio sempre aperto;”.
Ancora una volta si può constatare l’inesistenza di virtuosismi lessicali nei versi liberi di Bassani, mai ambigui e sempre, come ho già accennato, capaci di sviluppare un ritmo cadenzato da una genuina morbidezza. Scrivere poesia non è per niente facile. Tutt’altro.
Osserva la poetessa  Rosita Copioli che “la poesia ha necessità di perfezione, di una musica esatta, fatta di misure e calcoli infinitesimali. Tanto più sottrae e limita il dire, quanto maggiore desiderio e senso più profondo contiene. La vastità di tutto ciò che i versi omettono, deve continuare a vibrare attraverso i vuoti. Dalle vibrazione dei vuoti si forma l’aura che distingue la vera poesia”.
Ebbene, nella poetica del paesaggio di Bassani trovano spazio connotati autobiografici come, ad esempio, nella lirica del 1977, dall’eco montaliana, intitolata Alla mia terra. In essa l’autore propone una sequenza di appassionate affermazioni, che riflettono l’inesauribile affetto per la sua terra, dove egli, ritrova se stesso. È una poesia, a mio avviso, molto bella che fa leva su dichiarazioni altrettanto decise:”Amo questa mia terra aspra e ferrigna”, “Amo i pini nascenti sui crinali”; Amo questo mio mare scintillante” e le immagini che egli riesce a comporre, e che continuano a stupirlo hanno, ancora una volta, voce, profumi e colori rasserenanti.
Parlare di se stesso, del paesaggio e delle persone care o spingere la mente tra l’accumulo di ricordi di segno diverso è motivo per il poeta di vagare nel tempo e ripercorrerlo.  Si propone inevitabilmente il confronto fra il passato e il presente, dove tutto corre velocemente e la diffusa umanità di ieri, espressa dinanzi ad una realtà nella quale le piccole cose e i gesti più semplici assicuravano il piacere della vita, alimentando la forza della speranza, sconfiggendo o, quanto meno attenuando, la sofferenza provocata dalle illusioni e dalle delusioni.
La speranza è evocata dalla breve poesia Umanità. Bassani ne offre con le sue parole l’interpretazione autentica affiancando alla conclusiva immagine dell’arcobaleno “una nota di speranza che s’accende quando nell’arduo percorso esistenziale ritroviamo un frammento di sereno”. Ci sono, allora, ragionevoli motivi per abbandonare atteggiamenti pessimistici e cercare risposte ai perché della vita, lasciandoci catturare dal gioioso arco multicolore che per pochi attimi abbraccia il cielo.
I poeti dimostrano che ”se l’uomo ha ancora bisogno di ricordare e di riflettere raccogliendosi su stesso, se la sua esperienza non si consuma nella distrazione, allora nella pluralità delle sue manifestazioni la letteratura ha ancora un compito da assolvere; ed è l’invito suasivo a non dimenticare se stessi, a indagare il proprio rapporto con l’altro”. È l’illustre italianista Ezio Raimondi a  sostenere l’importanza del libro, e quindi anche dei testi poetici, a considerarli “estensione della memoria e dell’immaginazione, segni di vita, cui si deve continuare a dare vita”. È quanto oggi stiamo facendo leggendo e commentando le poesie di Bassani, pagine di un denso diario compilato dall’autore con sincero amore. Un diario che raccoglie memorie non scalfite dal tempo.
Il tempo non ha, infatti, usurato l’affettuoso ricordo del compagno di classe delle scuole elementari, che per primo portava alla maestra un ramo di mimosa. Bassani ne ignorava la scomparsa, che scopre visitando il cimitero. Tu che portavi la prima mimosa è la poesia che dedica al gesto del “caro amico di scuola” e così scrive:“Ti credevo lontano:/ripartito per terre/ove non cresce l’olivo/e la nebbia nasconde l’azzurro/tra gente che non ti capisce…” .Ancora una volta il poeta esprime dei contenuti: la ricerca del lavoro, un sogno per chi nasce “in sperduti sobborghi/d’antica miseria”; l’amicizia, il legame con il passato, la morte, l’attesa di una vita nuova. Ogni parola di questa poesia allude alla forza dei sentimenti e alla spinta morale che appartiene all’autore e che è partecipe di quell’idea di poesia che Bassani continua ad esprimere con convinzione da vari decenni. Convengo con il compianto Ferruccio Battolini che definiva Bassani “un poeta scoperto, sostenitore della pubblica esposizione dei sentimenti, inzuppato di umanità, con il vigore dell’umile e con la certezza del sincero, con una voglia insaziata di pulizia”.
Continuiamo a sfogliare il suo denso diario, soffermandoci su Il dono di padre Dionisio, una lirica che omaggia la straordinaria e notissima figura del frate cappuccino, il cui nome era Giovanni Mazzucco, che nella sua vita ha perseguito il bene, concretizzando incessantemente il valore della carità, donata a tutti.
Bassani esclude il distacco e ne offre il profilo più autentico, proponendoci la sua contagiosa immagine “fresca/delicata/come il cuore d’un bambino”. Credo di poter tranquillamente collocare Bassani tra i poeti che vivono la complessità dell’esistenza, mantenendosi costantemente e silenziosamente nell’ascolto di Dio. Anche quest’ultima poesia, così essenziale e piena di autenticità, mentre se ne scorrono le precise parole,  ricrea i gesti di questa cara persona al servizio degli altri, soprattutto dei più piccoli; produce una particolare luce, che ci esorta a guardarci dentro, indagando la nostra coscienza.
Il poeta milanese Franco Loi usa l’espressione “mettersi in una certa lunghezza d’onda” cioè “porsi in attesa di qualcosa che doveva avvenire; e abbandonarsi e staccarsi da sé, cioè seguire l’emozione di quell’insorgere di avvenimenti, immagini, persone, riflessioni, dolori, piaceri, speranze con la freddezza dell’intelligenza e un entusiasmo particolare nel cuore”.(Vita  e pensiero, n.5/2010, p.133)
Bassani s’introduce nel cuore delle grandi domande, nelle quali le certezze sono appannate da comportamenti contraddittori, utilizzando la consueta formulazione concentrata, mai urlata, affrontando non di rado anche tematiche dal palese respiro spirituale, accettando il confronto con il divino e rifiutando atteggiamenti nichilistici né meramente rassicuranti. Meriterebbe una specifica analisi il capitolo della produzione poetica di Bassani, dove è prevalente il sentimento religioso, comprendente poesie che trasmettono l’identità del poeta come uomo dalla fede robusta. È spontaneo, ad esempio, quando esalta - come non essere d’accordo - l’umanità di papa Giovanni XXIII (“ha cercato ciò che unisce nell’amore,/distinto l’errante dall’errore,/scrollato la polvere imperiale/dal trono di Pietro”.); quella del giovane curato, don Luciano Ratti, (“Il nostro entusiasmo/fu tuo e la speranza/già nell’aria s’avvertiva/primavera di mare;/in te, in noi,/stagione ricca di promesse.) o nel condividere l’importante ricorrenza del Grande Giubileo dell’anno 2000 (“Torna tra noi, Signore!/Chinati sulle nostre miserie/con la pietà/del buon Samaritano;lava/cura/risana le ferite,/dà luce ai nostri occhi/e speranza al cuore/nell’indulgenza del perdono.”).
Riapro la pagina sulla poesia civile di Bassani con due poesie degli anni Novanta, Libertà e Il pane del perdono che offrono molto nitidamente il profilo del poeta, testimone di pace. Soltanto l’uomo è responsabile del male compiuto su altri uomini, ma il rancore può essere sopraffatto da gesti di perdono. L’invocazione di Bassani (“Ma tu, uomo, apri alla luce la tua mente/e il tuo cuore a pensieri di pace”.) merita di essere ascoltata e messa in opera ed ecco che la poesia, che non vuole essere un prodotto consolatorio, ma, al contrario, uno strumento per prendere coscienza di sé, sa parlare di povertà umane, di violenza, d’indifferenza sociale, di ferite all’ambiente, atteggiamenti dell’uomo che riempiono d’incertezza la nostra vita, che impegna noi tutti a valorizzare il significato della libertà, che, con le misurate parole di Bassani, non sappiamo “quanto grande fu il suo costo:alto, enorme”.
Libertà è tra le tante e commoventi composizioni rievocatrici del sacrificio di uomini e donne che hanno condiviso gli ideali della Resistenza e la guerra di Liberazione, combattendo un nemico che ha seminato morte e dolore in smisurati eccidi commessi in varie località italiane. Si domanda Bassani in Il sangue di Abele:”Ditemi,/se il tempo debba velare la memoria,/se esiste una pietà/che possa coprire tanta infamia/nel più difficile perdono”.
Il poetare franco e sereno di Paolo Bassani onora la dimensione creatrice della parola, che non pretende alcuna esagerata ricercatezza. Così è la parola, cito il poeta senese Cesare Viviani, “quando non la si valuta con la prosopopea dell’intellettuale ma la si vede come gesto, sussurro, precario passaggio di vita e di calore, battito del cuore della comunità. Questa parola non è più slogan che vuole conquistare, ma è un suono vitale che accompagna e conforta il difficile attraversamento che è  per ognuno la vita”.
Mi ritrovo nella voce poetica di Bassani, capace di affrontare importanti temi e di celebrare, l’espressione è di Giuseppe L.Coluccia, “valori antichi di una umanità vera”,  invitandoci ad essere dalla sua parte per affrontare senza infingimenti, ma con sincerità, i dubbi e le certezze che ci riguardano più da vicino. È una visione positiva che dà significato ad ogni attimo del nostro vissuto ed a quanto ci circonda, scoprendo il valore di piccoli gesti e l’essenza delle cose apparentemente banali per recuperare “la capacità di stupirsi, che presuppone l’umiltà di riconoscere che la dimensione del nostro animo può ulteriormente dilatarsi”. (Maria Luisa Gatti Perer)
Insomma, sapersi meravigliare, nella consapevolezza come sostenevano i Greci, che la meraviglia favorisce il sapere e, pertanto, l’esercizio del meravigliarsi alimenta le nostre conoscenze, la nostra cultura.
Il filosofo Luigi Pareyson ha ampiamente teorizzato la costruttiva azione del contemplare, che significa “fermare il corso della vita, arrestare il fluire e rifluire delle azioni e delle passioni umane, immobilizzare la vita spirituale  e guardarla”, ma, precisa, “guardare a fondo, e quindi vedere, nel significato più intimo del termine…dare un senso alle cose, un trarre da passioni umane visioni che investono la totalità del reale, un conferire a concetti e pensamenti un’inflessione singola e inconfondibile, un qualificare, con sensi personali, la varietà del mondo e dello spirito”.(Teoria dell’arte. Saggi di estetica, 1965, p.26,28)
I poeti hanno più di altri la predisposizione ad osservare, ascoltare, giudicare, apprezzare il silenzio, raccogliere, custodire, trasferire emozioni e con esse la propria intimità, svelare se stessi attraverso le parole, dimostrando che nel mondo odierno c’è, più che mai, bisogno di poesia.
Ne è convinto Enzo Bianchi quando con la competenza e la sensibilità che lo contraddistinguono afferma che “abbiamo bisogno che qualcuno scriva, pronunci, faccia risuonare parole che iniziano alla vita e aprono cammini ogni volta inediti: solo così ciascuno saprà andare oltre, verso un’identità più ricca perché con le parole del poeta siriano-libanese Adonis “l’uomo è sempre un superamento di se stesso:viene dall’avvenire più che dal passato”. (Parole contro gli idoli, Avvenire, 13/04/2008)
Recentemente ho letto un denso libretto di commenti di due prestigiosi docenti universitari sulla poesia del poeta spezzino Ignazio Gaudiosi, un ottimo poeta che vanta l’amicizia e la stima di  Bassani ed anche la mia. Desidero riportare due brevi pensieri, l’uno di Francesco D’Episcopo, l’altro di Giuseppe Benelli.
Il primo è un’esortazione che condivido totalmente:”Se noi abbiamo sul comodino un libro di poesia, qualche volta basterebbe una sola di quelle poesie, non dico, per salvarci la vita, ma per sentirci parte della vita stessa e quindi di tutti”.
Il secondo, non meno condivisibile, è sulla genesi della poesia. “La poesia – scrive Benelli -  nasce, infatti, da una esigenza di azione: il poeta non è qualcosa di astratto, è qualcosa che gioca tutto su se stesso nei suoi versi, porta il tessuto delle parole, vive dei ricordi (cor, cordis) dei battiti del cuore, senza i quali non c’è poesia”.
E “l’estrema aspirazione della poesia – argomentava Ungaretti – è di compiere il miracolo nelle parole d’un mondo risuscitato nella sua purezza originaria e splendido di felicità”.
Concludo, esprimendo la mia gratitudine all’amico Paolo per il suo impegno e per la sua sempre edificante parola, eloquente specchio della sua vita. Bassani è certamente d’accordo con la straordinaria poetessa milanese Alda Merini che amava dire che “bisogna cercare di fare d’ogni parola un giardino, dove fioriscan delle rose: delle rose di attenzione per gli altri”. Vi leggo una sua poesia a conclusione del mio intervento .
Grazie per l’attenzione che mi avete gentilmente riservato.

  
Valerio P. Cremolini


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